Monday, January 01, 2007

Lascia che a dire siano le cose
gli abitatori del mondo addossati alla cruna
dell’ago, le lingue impresse a memoria.
L’elencazione dei nomi dei morti
toglie il respiro: tempo è di dare le mani
nell’andirivieni dei vivi, fermare gli occhi,
lo sguardo a chi trema.

Sunday, December 31, 2006

E tu che danzi l’attesa, l’alito cerebrale
clona la dissoluzione, la cenere del camino
acceso deborda il tempo eluardiano dove
il bastone spezzato E furia l’acceso tremito
la radice è il cielo che respira nei morti

Wednesday, November 29, 2006

Volta appena nel quadro un essere dal bosco
Può strizzare l'occhio dal pavimento scosceso e
Inclinato. Mese di verde morto pure questo
e spente luci né un alfiere di Carroll
solo qualche torre tremolante e la battaglia
su navi senza stiva. non ripari per l'acqua
quella assorbì i corpi alla nicchia
Quando aspetterò non altro che il silenzio
della pioggia: Meglio neve gli occhi appena
scuciti dai vetri In interni frantumati e denso blu.

Wednesday, November 22, 2006

zetazero

Non temere: hai il grande vantaggio
di poter vedere con gli stessi occhi
un tumulo di terra e un cumulo d'oro.
G. P. G



le pillole sul corso interrotto del sangue.
artificio che morde e devia ogni cosa
ogni bocca: vulnerabilit� dell�onnipotente.
� la melma che si � fatta aria, qui.
non un respiro aperto al petto.
ogni figura, buon dio, spezzata e morsa
dal vizio nero. enormi taniche d�argilla
a caccia di effrazioni, distintivi per l�onore
civico.
prodotti di laboratorio in atelier profumatissimi
cerchiano cavie dell�est e varie manocervellanze.
una fotografia e la lettera del principio
mi ritorna all�uomo.
davvero vi dir� di una terra che non avete mai visto.

Sunday, November 19, 2006

zetazero

l’anello conserverà il potere di Erzulie
e tu ne sarai la fibra principiante e l’oro
quando i venti d’apocalisse solcheranno i visi
e le memorie rifluiranno nel grande mare calmo
e film muto, Keaton visto al buio
per il vero e la barca sempre rovesciata
al passo storto di altre furie di burrasca.
si vedranno nomi scuciti, all’albero la corteccia
per l’era della nudità e l’inconsolata sostanza
che il bosco avrà in vendetta.
i veli e le omissioni. le testimonianze dei profeti
saranno volti scavati all’osso
e il desiderio in riflussi di acidi gastrici
senza prece.
di lui si dice “come una pianta né morta né viva
aspetterà la sua sposa:
“arriverà salva dopo le diciassette morti
la ricoprirà di petali e conchiglie,
pietre e bracciali al suono dei venti perfetti”.
ecco la custodirà, suo suono, sua parola.

Tuesday, November 14, 2006

zetazero

Capitano i seni induriti col tacco puntato
Alla carotide
Anticipata presenza di corpo sfocato
Stabilito corpo acquatico
Conficcato da sempre a guardia di secoli e venti
Scorsi sfiorati –e sono 10 gli anni- alla venuta.
Sarà padre lo spirito fosco del buio
di qui. Ma tutto soddisfatto e bastevole a se stesso
che altri non vuole per dirsi tutto intero e vivo
senza più respiro. Guardate guardate il presepe lavorato
in questi mesi -nato a mano-
in belletto ambisce a questo balconcino
come il decapitato sulla scena già lanciato
stretto all’ansia di un debutto
in strepito di nacchere e ragli
in vociare stridulo di capre e muggiti di sordide
fanfare
venire venire nell’unico Occhio
l’applauso finale.

zetazero

Nel vicolo sconosciuto fui portata dal naso
Riconobbe il muschio stesso della mia orchidea
L’odore di cornici al guinzaglio della pancia
Scaldaletto e oliera di rame fissi alla croce
Al chiodo, alla piazza. ci vidi dentro la pupilla
Del tempo inappartenuto e universale
Come gli occhiali di tante nonne all’uncinetto
Alla maglia, alla preghiera ossidata, buttati lì
Senza volto, nome, occhi dita ginocchia
Guance disossate, respiri di bambole
Di cera alla mercé di un pomeriggio nella bassa
Sfocato, con l’acqua ai pennarelli brumosi
Più neri alla gola di foschie e luci da vecchiaia
Del mondo, dagherrotipo secco ancora
Moribondo, l’inchiostro muto.
Si direbbero ingravidate solo dallo spirito notturno
Donne di lavoro terra e notte.
Qui è il volto rovesciato all’indietro del progresso
Tutto è antico qui e il futuro solo dal buco della fine
Si intravede. Perché ci fu cammino e il cammino
Azzardò pretese prometee senza beneficio. Un rogo lento
Travestito di progresso. Voi, alla punta
si restava
Cullando un Eterno senza moto movimento il moto
Proprio dell’umana Specie, moto proprio del tempo
Evanescente. Prescienza.
Goliardi, il cerchio ai fianchi dondolante, altro non aspettano
Che il Cerchio ritornare. Altro non aspettano, oh estasi,
Che il cerchio Ritornare.
(Ma la donna del bosco prese la borsa e me la diede
Vera pelle, certo! per il pegno da portare da mia madre:

“Questo sacrificio al gelo non impallidisca
Il sole Mio di sempre, la figlia prodigiosa
Il cerchio ormai spezzato
Conficcato come spada alla caviglia”).

Monday, November 13, 2006

zetazero

Nel vicolo sconosciuto fui portata dal naso
Riconobbe il muschio stesso della mia orchidea
L’odore di cornici al guinzaglio della pancia
Scaldaletto e oliera di rame fissi alla croce
Al chiodo, alla piazza. ci vidi dentro la pupilla
Del tempo inappartenuto e universale
Come gli occhiali di tante nonne all’uncinetto
Alla maglia, alla preghiera ossidata, buttati lì
Senza volto, nome, occhi dita ginocchia
Guance disossate, respiri di bambole
Di cera alla mercé di un pomeriggio nella bassa
Sfocato, con l’acqua ai pennarelli brumosi di nord
Più neri alla gola di foschie e luci da vecchiaia
Del mondo, dagherrotipo secco ancora
Moribondo, l’inchiostro muto.
Si direbbero ingravidate solo dallo spirito notturno
Donne di lavoro terra e notte.
Qui è il volto rovesciato all’indietro del progresso
Tutto è antico qui e il futuro solo dal buco della fine
Si intravede. Perché ci fu cammino e il cammino
Azzardò pretese prometee senza beneficio. Un rogo lento
Travestito di progresso. Voi, noi, alla punta
si restava
Cullando un Eterno senza moto movimento il moto
Proprio dell’umana Specie, moto proprio del tempo
Evanescente. Prescienza.
Goliardi, il cerchio ai fianchi dondolante, altro non aspettano
Che il Cerchio ritornare. Altro non aspettano, oh estasi,
Che il cerchio Ritornare.
(Ma la donna del bosco prese la borsa e me la diede
Vera pelle, certo! per il pegno da portare da mia madre:

“Questo sacrificio al gelo non impallidisca
Il sole Mio di sempre, la figlia prodigiosa
Il cerchio ormai spezzato
Conficcato come spada alla caviglia”).

Sunday, November 05, 2006

ho ereditato ciò che dai
l’ho nominato in nome pasto
poi posato intatto alla fiera,
smembra il germoglio miseria scossa
invocato perdono fate del cielo
strazio uragano in la fonte sia
oltraggio ora incido sempre ora chiedi
a il luogo del sacro è dato
il bianco s’incestua nel rosso, oro
denti e rosario, l’incenso dei
santi, porta la pace all’osceno, a lo
schermo che preghiere ritte, candele di
carne, lo spirito santo, la città
si muore: altari bagnati, urina santa,
ogni peccato al rossetto una barba inci
de ora l’ocra il selvaggio maglio membro
pace sconfitta, la sbarra separa l’ombra
dal cielo, luce è dolore, strazio Dio
un risorto miraggio
Intorno ai ripensamenti, dove fa ombra la mano sul fuoco, quasi la voce neanche si sente oltre lo sguardo. Il fiato termina contro il palato, la lingua spinta senza rumore sul pater noster. La confessione si bacia tra i denti nei fili al rosario. La povertà consacrata nel sale brucia col sangue. Dio - nell’abbraccio - porta la morte.

Saturday, November 04, 2006

la rosa brunita e scrivi: la disperazione
è luogo. il canale è luogo, la bellezza è
disperazione, l’io è luogo, capelli ramati e
innesti sangue in struttura, s’infeconda la
biografiaauto, di versi, l’opposto seme dove
adagia i muscoli; il bimbo mangia un gelato
o scismi fioriti, foglie fatte marmo nel
sai che tu andrai in ora scendo nell’ora
mia tua sorella, luogo, riparo, grotta
tutto comprendi è cavità per l’eco

Friday, November 03, 2006

la terra pulita, conchiglia di rame
mare, giovane dolore che
Dio nel mio abbraccio, musica
ogni quadro un germoglio, tu sei la
ecco la stanza del fuoco, ogni arpa
i bambini rincorrono una palla,
la ruota che ricompone le membra, le fa
ora un quadro, altro
un fuoco mite

Wednesday, November 01, 2006

terra di dura vernice sopra le membra
il corpo a corpo scalfisce la sua misura
minuta del tempo che si moltiplica a gesti

la luce bene composta abita la retina
lo sguardo transita sopra le cose
l’irreversibile accumulo grava sul nervo
tutto l’organico spessore

Wednesday, October 11, 2006

mi avvicino ai passi che alimentano
la terra,
ai frammenti miti del dolore,
oltre il dolore opaco che si fa terra

Tuesday, September 26, 2006

la rete ben composta sull'omero
trattiene la pesca santa all'indietro
la luna rovesciata all'emisfero
il volto su fioche traiettorie di catrame
spinge adesso il passo sul probabile
abisso di luce

Saturday, September 23, 2006

porti lo specchio al volto per guardarti
in superficie l’acqua con la luna
la cucitura in tasca su cui carezzi l’unghia

la neve appena spinta in fronte comincia l’acqua

la bocca mette il centro in fondo al secchio

Monday, September 11, 2006

Con mani di cenere impasto il pane
Il secchio raccoglie dal pozzo acqua nera
Gocce inumidiscono la terra e l’attesa

Stretta tra i denti la parola, morsi e “ho sete”.

Berrò da morto, solo da morto e poi per sempre.

Sunday, September 10, 2006

La fronte accartoccia il punto più nero del pozzo
La luna rabbuia. L’attesa smembra al filo ghiacciato
Di già toglie il sonno. È la storia del martirio
La cenere da qui neppure sfiora il cerchio.
Dio che sciogli in acido i passi del peccato in procinto
e annodi la mano di bimbo sul bastone greve del cieco.
Costringi mentre intoni con la bocca chiusa il segreto
il canto del serpente
Tenuta fedele al corpo scuro imprevisto dell’inchiostro
saetti la frusta, le litanie del metronomo,
quell’ammonimento.
E gli occhi e la lingua divisa per la fronda zeppa
del frutto disdicevole.
Cosa inciampa il gatto alla carrozza
cosa turba il corso lesto della corsa.
Cosa tiene l’inverno al tallone più leggero
la furia del vento
al riposo severo del tuo sguardo.
Ti porto l’acqua racchiusa in tubi di rame
questo respiro sul volto ossidato dal sangue
bianco l’amore per nome di sposa e
tutti i suoi semi mai masticati in una bocca.
Avvicinandomi poi ho questa storia già lunga
da raccontarti, che ci somiglia. Non
l’amore delle parti. L’ultima volta che ho
indovinato la tua figura al mio fianco
fu per svegliarti vicina a lasciarmi un mattino
portata eretta nel vento come la statua del santo
nel giorno che ha nome. Sopra quel carro
salita ti ho persa, in una cerchia di specchi
portata via di corsa tra i clamori della festa.

Friday, September 08, 2006

il palmo rubato allo stelo
cristallo che sazia l’involucro
la finestra marchiata al fuoco del battesimo.
Bevo la tua pelle ne accarezzo il marchio
gli uomini marciano nel sepolcro isolato
ogni vento un fuoco di tamburi, un ritmo
carsico di mani sciolte nella tua bocca.
Tu e poi l’altro che chiaro genera il respiro
negli occhi fecondi di pane e morsi.

Thursday, September 07, 2006

Per il pane d’inverno ingoiato
alla tua bocca.
Muti occhi bevuti all’acqua muta
scoperti il primo autunno
sgusciati al loro sguardo
con la fuga ai primi marciapiedi di Parigi.
Senza nome l’astro perso al cielo
dal ramo -l'altro- lettere ciliegie veleno.
La capinera e il giardino ritrovato.
Tutti sazi e senza pace i fuochi sconsacrati
questi venti alla caviglia
i tempi al ritmo di camere svuotate
per il battesimo del sangue:
i tuoi soldati di lassù, al secco di altre guerre.
Tu, proprio qui,
nocche e fianchi al vetro assiderati.
Fuoco duro e cristallino nelle stanze sbriciolate
tu,
sempre alla finestra dell’altro punto cardinale.

Monday, September 04, 2006

eretta la figura nel passo che manca
la sposa sciolta nel marmo
che inchioda, dà ordine a gioia sospesa.
Cibo che si fa pasto, voragine di sete,
scisma impietoso di nuovi flussi:
il bimbo è sangue, il bambino sangue
nell’odore di sete, nel lamento nulla
che ramifica di silenzio sacro la ferocia
culla che dà la sua struttura al tempo

Sunday, September 03, 2006

Il vento soffia e nevica la frasca.
Cola bava d’ambra cristallina.
Il vento sbecca il silenzio delle pietre
porta all’acqua le dita senza braccia
“E’ bava capricciosa di serpente al terzo mese!”
-come l’aratro in mezzo alla maggese?-
“se il velo cuce Bocca e bocca il Pugno
sia buio agli occhi di settembre e le parole tue,
per sempre!”.
La carne ripulita dell’inchiostro
in battere e in levare di un’attesa:
Tolto.
il vento si inginocchia alla grotta del fiore
ri-apre opaca la schiera dei venuti,
ne irradia di sale il sapore:
ogni rosa si estingue nel tocco, ogni
saluto dolce è luce di rosa nel soffio
e poi respiro: sono tua, legno alle pareti,
trentaté respiri, cedi alla polvere
la ruggine scontrosa del sogno.
Il suono delle madri è rosso e la mano
un filtro che stringe il pensiero
poni le dita in direzione del vento
avvicina poi alla pioggia il viso:
aghi di pino caduti sui piedi
l’angelo in pietra solo frantumi
-già capovolta la testa- continua
poi gli esercizi d’acqua la bocca

la morte impara il corpo nel vetro
-non a memoria- sino a disfarsi

l’occhio sgranato davanti a un volto
guarda da un’altra distanza

Thursday, August 31, 2006

la clemenza dei frammenti
al cervo spirito che è dio,
tu riccioli divelti, pelle bagnata,
gambe ansiose, nascita di cenere
dal mare, dall’ombra che inchioda
di semi un silenzio estinto. L’urlo
invoca i segreti, il palmo recide le vene,
la misericordia danza nel vento
che si inginocchia alla grotta del fiore

Monday, August 28, 2006

la forza stessa del fiore che apre, la pioggia che si svuota, il muro secco inginocchiato e la nuca giunta alla prima comunione con il sole. arriva la voce squarciante e sa la formica accanita, sa il silenzio di santuario, l'ammasso di colori alla poltrona. guarda che l'estate non seppe il nero e tanta ne voglio e cerco ancora. tu, campana che scocchi lontana e spalanchi al palmo il mare che la bocca di febbraio strinse. per i segreti cassetti del monte sommerso che il marinaio pregò e il pesce ebbe confidente. porti la conchiglia all'orecchio per ricordarmi il suono delle madri. io, sposa del dio estinto. del figlio perduto. se il cielo rovescia ancora quello che la terra solleva, tu al centro tieni e afferri, porgi e la mano presti alla carezza. la Voce per il letargo di tempesta. tu apri prossimità che vedo e so e sposti l'asse alla misericordia della valle senza vento.

Thursday, August 24, 2006

inghiotte ciò che scorre; il sangue nel sangue.
il passo in nudità e poi morte; ogni morso
una scorza che muore e disvela;
il feticcio era divino, unica lingua e presenza

la materia preme compatta tra respiri di animali,
la strada mite e le voci: una corona di croci nel sole.
Né linea più fedele all’orizzonte
Il palmo stellare preme il muro
sui secoli di pietra. striscia la lucertola
le lancette dell’Immobile Afono
l’eterno movimento che conosce
tutti riavvolti i respiri degli animali
i muri d’oriente appiccicano i nomi
gli anni le storie gli attrezzi i vestiti
sui muri gialli presi ostaggi che il sole
avrà. Il ferro alla terrazza
il geranio orfano d’aria puntato
alla domanda scomposta del gatto
uno scalcio d’amnio innaturale
attutito da altri mondi in mezzo
dal silenzio pieno che verrà.
Tutto resiste al sinistro rombo di vento
venturo. La colomba appollaiata in cielo
L’ultimo sorriso la cenere bianca
l’ultima sillaba gracchiata sul marmo

Wednesday, August 23, 2006

la deriva si nutre di frammenti
il foglio incide l’occhio, l’osso
si fa penna d’oca,
cenere bianca
quando lingua disvela dal diamante
la luce, sapienza che si riconosce
in atto – negli occhi scavati dal sole

Tuesday, August 22, 2006

l’osso consuma sui gomiti contro le braccia

non lega il dente lo spago ai rammendi
gli urti le briciole e i frantumi

l’occhio non legge l’inchiostro alla luce
solo narici sul foglio asciutto

una medusa fa questi elettrodi in acqua

la mano chiusa sul liquido
sgocciola dentro al bicchiere

dentro la sabbia le unghie
le mani dentro la montagna

Sunday, August 20, 2006

un muro; solo occhi e crepa, tra il viso
e il muro dove il becco riposa
tra palmo e libro: un filo tra denti e limbo.
il bianco è luce e vuole la fiamma
sterpi di luce nella fame dei tramonti
al caos rivestito di lana pura s’ingenera
uno splendore increato, un flusso umido

Saturday, August 19, 2006

La veste d’oro è ridotta ad un filo tra i denti, solo residuo del nido nel becco. Cadono i riccioli dietro alle orecchie, i piedi puntano il muro sull’orlo, il collo teso, la bocca muta la lingua parlata e poi non resta che un tratto sul viso: porta il fiammifero la verticale del fuoco tra le due dita. Sbuca tra i muri e la luce. Non vale battere forte le nocche sul vetro per richiamare attenzione: ad occhi chiusi la strada chiude la linea nel palmo.

Wednesday, August 02, 2006

una sola bellezza è argilla, orlo
un filo nero.
vergine è la pietà, orlo, osso
umida corona ai piedi.
prepara le croci, il cuore è ucciso
il grido della rondine
ramifica di litanie le porte delle case,
le statue vive nella notte
per la processione degli steli: ogni stelo un uomo;
ombre sull’orlo della morte,
occhi di voragine seminano argilla
cuciono bellezza con fili neri:
la veste è data.

Friday, July 28, 2006

Cavane il dente a ridosso del marciapiede
scosta il vaso dalla terra morta
il grembo immaturo seduce i frutti e il seme
il mare, il verde del bosco,
lo scoiattolo arrampicato,
l’unghia nella scorza di legno.
Canterete, canterete a precipizio
fino all’ombelico nero della terra.
Trombe del Quattrocento, pedanti,
storiografi in panchina:
“e c’era pure una donzella!”.
-Il vento porta, il vento porterà-
così il monaco di schiena infreddolito
così la suora col tulipano rosso al dito
e la sesta d’alfabeto al polso scuro.
I piedi uniti alle mani, i capelli e tutto ciò che ci spinge e ci giunge.
Il bacio nudo sopra le spalle. Il cibo dato all’amore del viso.
Darti qualcosa di mio che nessuno ha sognato: l’ho ritrovato per strada, non detto.
Dopo la bava nera, il crucifige nel sangue, la coltellata precisa nel burro.
Questo dolore in cerca a turno di felicità.

Thursday, July 27, 2006

la medaglia all'onore si è piantata
nella scapola anteriore.
e ora va svestita da lì in giù
senza bretelle senza collegate
lontananze. lingue accordate:
tono tono semitono. e questo sputo.
bava nera. crucifige, allarmava
dal tredicesimo piano -calante-
la spilla di balia
pesare a mano l’eccesso di vita e
imitarne la forma chiudersi attorno
fare misura toccandone la superficie
-conta le dita ad alta voce-
sino a deporre per terra
a mano a mano anche il peso:
lo sforzo minimo è stato dell’arte

Wednesday, July 26, 2006

Su chiasmi come questo, e su antitesi simili, si costruiscono una storia buona e una storia che non porta frutto. Se questa morte è un seme, quella è sterile o sterilizza i sopravvissuti che iniziano ad invecchiare o ingiallire; ma questi valori non giacciono oggettivamente nelle due morti: dipende dalla pietà e dalla carità verso chi si è estinto, più o meno caro. Dipende anche dal tipo di morte e dallo sforzo intellettuale e di carità che chiede. Per sopravvivere serve una certa dose di attenzione, ma anche di libertà: non è la stessa cosa essere costretti ad accettare il tempo che passa o esaurire la vita. Sperimentarla al massimo, quasi con ingenuità, e morire per eccesso di vita è ancora un’altra cosa.
Ora che tacciono le voci, l’acqua si priva delle figure, nei luoghi avanza rimasta senza più nome. Dalle finestre altre case. Per giorni altezza di cielo soltanto: le forme che raffigura senza sapere, gli adagi senza richiami dai sassi. Le mani fanno cerchi sull’acqua. Ci si avvicina a guardare. Non si risponde tra i palmi e scompare.

Tuesday, July 25, 2006

L’ambiguità sale in una maglia di sole
isolata chiamata astrazione chiama
un sapore disposto in organi e odore. Una freccia
scoccata è già morta, lei, la spinta vive
poi rimuore nel tocco che rende il fuoco
nero, il castigo che implora una nebbia
di silenzio in cui si adagi la croce del pensiero.
scioglie il corpo la luce in umidi pollini di morte divora la schiena tonda dello gnomo. fai il passo lungo di topo alla terra sterrata veloce saprai la voragine senza fine del secchio lo stesso tramonto in ore innumerevoli e varie: pie megere in ginocchio: lo stesso nero stelo. la stessa corona di petrolio. il grido della rondine l’ha soffocata. il grido della rondine ha svegliato il comandate -condotto alla guerra- imprigionato l'indiano. (in spazi extra del comune recinto il cuoco mangiafuoco versa peperoncino sul pane dell'africano: l'uomo snocciola granelli di litanie lacustri sussurrando: hai ucciso il mio cuore, hai ucciso il mio cuore). squagliate nel mare le truppe di bambini in odor di parola. l'uomo che vedo dalla finestra costruisce case posiziona antenne e la sera prepara i tazzoni per la prima colazione. il sole listerà a lutto.
la vena chiusa fa resistenza al corpo
asciuga l’organo a strappi

frugano gli aghi nella figura di sangue
per trattenerti da parte i nodi
dove non entra la febbre

solo un minuto contato:
lo stesso inganno vissuto al respiro
per tutto il tempo dopo -non ritornare-
non nati
Ogni organo è vena che pulsa
vendetta del grido, mercurio sfuso
nell’oro. Un graffio è la traccia, trasmuta
vasi lutati in soli argentati,
ora che il sedimento dell’arte è rovina
banchetta sopra cupole d’oro la sera
prostituta d’incanto, lezzo del cuore,
membro limaccioso fuso in marmo di tomba
come l’unghia dell’infante, il suo sangue.

Monday, July 24, 2006

chi passerà vedendo quel filo nero (C. Viviani)